La Oppio al Pizzo

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Oppio

LA OPPIO AL PIZZO

di Federico Rossetti

9 giugno 2014

La Nord del Pizzo d’Uccello non ha bisogno di tante presentazioni. La maggiore per sviluppo, interesse e qualità della roccia delle Alpi Apuane. La Oppio – Colnaghi è la via classica della parete. L’anno scorso era nella lista delle cose da fare ma non siamo riusciti ad andarci. Con l’arrivo della primavera la Oppio torna nei nostri pensieri. Rimandiamo un paio di volte causa brutto tempo. Poi arriva l’alta pressione, il tempo bello e il caldo, cosi si va. Partenza presto. Più o meno alle 7.30 siamo al Rifugio Donegani. Un’ultima scrematura del materiale nel tentativo di alleggerire lo zaino e partiamo. Non si sa come mai abbiamo sempre due zaini enormi. L’avvicinamento è abbastanza scomodo: prima si sale la dorsale di Capradosso, poi giù per la lunga ferrata di Foce Siggioli e infine si sale nuovamente fino alla base della parete.
L’unica cosa piacevole è la bella vista della parete che, una volta raggiunto il ripiano di Capradosso, non ti abbandona mai. Verso le 9.30 siamo all’attacco. La nuova prospettiva mostra tutte le debolezze della parete sopra da noi. E bisogna ammetterlo, tutta quella roccia è molto invitante! Soliti preparativi e si parte. Il primo tiro mi è stranamente chiaro nella memoria, si sale per diedrino verso un chiodo, traverso a destra, poi ancora su per diedro, si supera un terrazzino e infine una paretina molto verticale porta in sosta. I tiri successivi sono molto facili, nonostante la relazione che abbiamo dietro riporti dei terzi e quarti gradi, difficilmente questi si raggiungono e sono al massimo brevi passaggi. Saliamo infatti per cenge erbose seguendo la linea di minor resistenza della parete. Un primo tiro verso destra, poi tre verso sinistra, una lunghezza con un caminetto diedro più difficile e un lungo tiro per un impressionante canalone ci portano all’imbocco di uno stretto camino.

Da qui la musica cambia e si inizia a salire una successione interminabile di camini. Spesso non difficili ma alla lunga parecchio faticosi. Alla fine dell’ottavo tiro nella comoda nicchia con la scritta “Lotta Continua” ci fermiamo a mangiare e bere qualcosa. In realtà ogni due tiri un sorso d’acqua è obbligatorio per resistere al caldo. Ripartiamo e saliamo tre tiri per camini e diedri parecchio sostenuti. Il secondo è quello più difficile, il tiro chiave della via. Lo tiro io, tiro bello per stretto camino, poi con passi in strapiombo si esce su placchette. Arrivo in sosta bagnato, sarà l’una e anche se siamo all’ombra fa proprio caldo. Nel frattempo intorno a noi sibilano sassi. Abbiamo una cordata un paio di tiri davanti. Gli tiriamo qualche accidente ma non servirà molto e il rumore, per fortuna solo quello, dei sassi che cadono come proiettili dall’alto ci accompagnerà fino in cima. In realtà i sassi che cadono sono stati poca roba in confronto alla frana a cui abbiamo assistito. Io ero in sosta, Alberto una trentina di metri sopra di me fuori dalla mia vista. All’improvviso un botto diverso dai soliti rumori delle cave sotto di noi. Non ho visto nulla ma il rumore è stato chiarissimo e spaventoso: quello di una porzione di roccia che esplode e cade giù. Il momento peggiore è stato quello immediatamente successivo al botto, a sperare che la frana non venisse da sopra di noi ma da qualsiasi altro posto della parete. La calma torna e raggiungo Alberto. Non credo di aver mai avuto paura in montagna, sicuramente non di cadere o del vuoto, ma questo botto accompagnato dalle pietre dei maledetti sopra di noi ha lasciato il segno. E’ la paura di quello che non puoi controllare. Sono in sosta, sono solo e aspetto di poter salire, inizio a pensare, mi guardo intorno e vedo solo roccia, una parete sotto e un’altra parete sopra di me. Mi chiedo cosa ci faccio qui, ad aspettare di essere centrato da un sasso o peggio di cadere giù travolto da una frana. Nel frattempo do corda e aspetto. Penso e ripenso. Poi Alberto mi riporta alla realtà, “vieni!”. Mi rimetto lo zaino e inizio a salire. Come per incanto tutti i pensieri brutti scompaiono e ora penso solo a salire, ad arrampicare, lo trovo strano ma mi diverto e non vorrei essere in nessun altro posto al mondo. Raggiungo il mio compagno, scambiamo un cenno, una parola e proseguo. Incredibilmente a salire da primo ci si diverte ancora di più. Non hai pensieri, mente e corpo sono un tutt’uno, una macchina perfetta che sale, sale e sale. I rumori sinistri e i cupi pensieri sono scomparsi, sei solo tu e la roccia con un unico scopo: salire. Tornando alla cruda cronaca della salita, dopo i tre tiri difficili la parete appoggia e si mostra fino in cima. Siamo più o meno a metà. Seguono due tiri facili, il primo con alcuni passaggi su roccia molto bella, per nulla banali. Secondo me abbiamo perso la via, qui per nulla obbligata. Il secondo molto erboso fino alla base di un diedro verticale. Lo sale Alberto. Tiro impegnativo, più facile nei singoli passi del tiro chiave, ma molto continuo e verticale. La roccia nel frattempo è cambiata, le prese sono abbondanti ma bisogna proprio fare attenzione a cosa tirare. Un altro tiro ci riporta nel camino. Un tiro facile, poi un’altra lunghezza bella per diedro camino che si sale in spaccata. Qui stando alla relazione mancano tre tiri. Pensiamo di essere su, ma il Pizzo ci riserva un’ultima sorpresa. Probabilmente abbandoniamo la classica che saliva il camino e prendiamo una variante che sale direttamente al secondo pilastro. Due tiri sostenuti su roccia molto marcia mi portano a sostare su una piccola cengia in aperta parete. Alla faccia che la via non doveva essere esposta! Sotto di me tutta la parete. Per fortuna la sosta è a spit, testimonianza che siamo sulla via sbagliata. Sopra di me una parete molto compatta e all’apparenza difficile.

Va Alberto, sale una sorta di rampetta verso destra cercando di evitare la paretina. La rampetta però finisce. A destra c’è un bello spit, moschettonato, torna a sinistra e sale direttamente la placca strapiombante e raggiunge un caminenetto che lo porta alla sommità del secondo pilastro dove sosta. Lo raggiungo. Il tiro è effettivamente difficile, oltre che molto esposto e improteggibile a parte lo spit che ora capisco perchè ha passato. Raggiungiamo una selletta dove probabilmente saliva la classica e continuiamo per bella crestina su roccia migliore. Due tiri e siamo su. Sono circa le sette di sera ma il sole scalda ancora. Mangiamo, beviamo e ci godiamo la vetta raggiunta. Due anni fa avevamo raggiunto la stessa cima per la Cresta di Nattapiana, l’anno scorso per il Diedro Sud e la Tiziana, oggi la Oppio. Speriamo di tornarci anche l’anno prossimo in questo crescendo di emozioni e difficoltà. Un autoscatto (osceno!), una stretta di mano ed è ora di scendere. Raggiungiamo il Rifugio che sono quasi le nove. E’ aperto e ci fermiamo a mangiare. Dopo una giornata intensa in montagna del cibo vero e una bella birra è quello che ci vuole per riprendersi!

Gran giornata!
 
Vengo ai dettagli della via. La via conta una ventina di tiri, spesso molto lunghi (45/50/55 m). Le soste non sono sempre chiare, in particolare nella parte alta. La via globalmente è impegnativa, in primis per la lunghezza. Una volta raggiunti i camini, la via rimane quasi sempre sostenuta sul IV° con numerosi passaggi di IV+. Due sono i tiri difficili, il decimo e il tredicesimo, con passi di V+, dove sono presenti numerosi chiodi ed è probabilmente possibile azzerare. A partire dal 17° tiro noi abbiamo probabilmente salito una variante diretta al secondo pilastro incontrando una via a spit che saliva in aperta parete. Tre tiri impegnativi sul IV/IV+ molto verticali e su roccia marcia, con un passo di V/V+. Sono abbastanza certo sia una variante in quanto abbiamo incontrato molti meno chiodi paragonati alle difficoltà e le soste sono a spit, mentre finora tutti gli spit delle soste erano stati rimossi. La roccia globalmente è buona, peggiora nella parte alta dove bisogna prestare veramente attenzione in presenza di altre cordate. La via ha una buona chiodatura e tutte le soste sono su due chiodi. Utile, probabilmente indispensabile, una serie di friend (utilizzato spesso 1/2 BD). Anche se nei passi più impegnativi i chiodi non mancano, altrove la chiodatura è distante e non sempre sicura. La via è percorribile in giornata, contare globalmente dalle 12 alle 14 ore compreso avvicinamento e discesa, di cui 8/10 ore per la via, molto variabili a seconda della velocità di progressione.
 

 

Pizzo d' Uccello

Il tracciato della via

 

Pizzo d' Uccello

Accesso

 

Pizzo d' Uccello

5° tiro

 

Pizzo d' Uccello

La sosta dell’ottavo tiro (foto A. Piazza)

 

Pizzo d' Uccello

9° tiro

 

Pizzo d'Uccello

Sulla via (foto A. Piazza)

 

Pizzo d' Uccello

16° tiro

 

Pizzo d' Uccello

Cima

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