LA OPPIO AL PIZZO

di Federico Rossetti

9 giugno 2014
Da qui la musica cambia e si inizia a salire una successione interminabile di camini. Spesso non difficili ma alla lunga parecchio faticosi. Alla fine dell’ottavo tiro nella comoda nicchia con la scritta “Lotta Continua” ci fermiamo a mangiare e bere qualcosa. In realtà ogni due tiri un sorso d’acqua è obbligatorio per resistere al caldo. Ripartiamo e saliamo tre tiri per camini e diedri parecchio sostenuti. Il secondo è quello più difficile, il tiro chiave della via. Lo tiro io, tiro bello per stretto camino, poi con passi in strapiombo si esce su placchette. Arrivo in sosta bagnato, sarà l’una e anche se siamo all’ombra fa proprio caldo. Nel frattempo intorno a noi sibilano sassi. Abbiamo una cordata un paio di tiri davanti. Gli tiriamo qualche accidente ma non servirà molto e il rumore, per fortuna solo quello, dei sassi che cadono come proiettili dall’alto ci accompagnerà fino in cima. In realtà i sassi che cadono sono stati poca roba in confronto alla frana a cui abbiamo assistito. Io ero in sosta, Alberto una trentina di metri sopra di me fuori dalla mia vista. All’improvviso un botto diverso dai soliti rumori delle cave sotto di noi. Non ho visto nulla ma il rumore è stato chiarissimo e spaventoso: quello di una porzione di roccia che esplode e cade giù. Il momento peggiore è stato quello immediatamente successivo al botto, a sperare che la frana non venisse da sopra di noi ma da qualsiasi altro posto della parete. La calma torna e raggiungo Alberto. Non credo di aver mai avuto paura in montagna, sicuramente non di cadere o del vuoto, ma questo botto accompagnato dalle pietre dei maledetti sopra di noi ha lasciato il segno. E’ la paura di quello che non puoi controllare. Sono in sosta, sono solo e aspetto di poter salire, inizio a pensare, mi guardo intorno e vedo solo roccia, una parete sotto e un’altra parete sopra di me. Mi chiedo cosa ci faccio qui, ad aspettare di essere centrato da un sasso o peggio di cadere giù travolto da una frana. Nel frattempo do corda e aspetto. Penso e ripenso. Poi Alberto mi riporta alla realtà, “vieni!”. Mi rimetto lo zaino e inizio a salire. Come per incanto tutti i pensieri brutti scompaiono e ora penso solo a salire, ad arrampicare, lo trovo strano ma mi diverto e non vorrei essere in nessun altro posto al mondo. Raggiungo il mio compagno, scambiamo un cenno, una parola e proseguo. Incredibilmente a salire da primo ci si diverte ancora di più. Non hai pensieri, mente e corpo sono un tutt’uno, una macchina perfetta che sale, sale e sale. I rumori sinistri e i cupi pensieri sono scomparsi, sei solo tu e la roccia con un unico scopo: salire. Tornando alla cruda cronaca della salita, dopo i tre tiri difficili la parete appoggia e si mostra fino in cima. Siamo più o meno a metà. Seguono due tiri facili, il primo con alcuni passaggi su roccia molto bella, per nulla banali. Secondo me abbiamo perso la via, qui per nulla obbligata. Il secondo molto erboso fino alla base di un diedro verticale. Lo sale Alberto. Tiro impegnativo, più facile nei singoli passi del tiro chiave, ma molto continuo e verticale. La roccia nel frattempo è cambiata, le prese sono abbondanti ma bisogna proprio fare attenzione a cosa tirare. Un altro tiro ci riporta nel camino. Un tiro facile, poi un’altra lunghezza bella per diedro camino che si sale in spaccata. Qui stando alla relazione mancano tre tiri. Pensiamo di essere su, ma il Pizzo ci riserva un’ultima sorpresa. Probabilmente abbandoniamo la classica che saliva il camino e prendiamo una variante che sale direttamente al secondo pilastro. Due tiri sostenuti su roccia molto marcia mi portano a sostare su una piccola cengia in aperta parete. Alla faccia che la via non doveva essere esposta! Sotto di me tutta la parete. Per fortuna la sosta è a spit, testimonianza che siamo sulla via sbagliata. Sopra di me una parete molto compatta e all’apparenza difficile.
Va Alberto, sale una sorta di rampetta verso destra cercando di evitare la paretina. La rampetta però finisce. A destra c’è un bello spit, moschettonato, torna a sinistra e sale direttamente la placca strapiombante e raggiunge un caminenetto che lo porta alla sommità del secondo pilastro dove sosta. Lo raggiungo. Il tiro è effettivamente difficile, oltre che molto esposto e improteggibile a parte lo spit che ora capisco perchè ha passato. Raggiungiamo una selletta dove probabilmente saliva la classica e continuiamo per bella crestina su roccia migliore. Due tiri e siamo su. Sono circa le sette di sera ma il sole scalda ancora. Mangiamo, beviamo e ci godiamo la vetta raggiunta. Due anni fa avevamo raggiunto la stessa cima per la Cresta di Nattapiana, l’anno scorso per il Diedro Sud e la Tiziana, oggi la Oppio. Speriamo di tornarci anche l’anno prossimo in questo crescendo di emozioni e difficoltà. Un autoscatto (osceno!), una stretta di mano ed è ora di scendere. Raggiungiamo il Rifugio che sono quasi le nove. E’ aperto e ci fermiamo a mangiare. Dopo una giornata intensa in montagna del cibo vero e una bella birra è quello che ci vuole per riprendersi!

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