Entro nella stanza, saluto. Stringo una mano grande e levigata: è la mano di un’arrampicatore. Mi rivolge un simpatico ‘ciao‘ con il tono di chi conosce quella e altre tre parole della nostra italica lingua. Alzo lo sguardo ed eccola lì la faccia di Alex Honnold con il suo solito sorriso beffardo e con quel non so che di strampalata allegria.
Sorrido. Abbozzo un ‘nice to meet you‘ (piacere di conoscerti), poi mi rifugio nei miei pensieri.
Avevo conosciuto Alex qualche anno fa una sera di novembre a una di quelle rassegne di film di montagna che girano per le città. Devo ammetterlo mi aveva un poco spaventato quel giovanotto che scalava a mani nude ( ) senza corda, sospeso tra roccia e cielo. Quella sera i commenti intorno a me erano stati un po’ tutti uguali tra l’ammirazione e le domande retoriche su cosa spingesse quel ragazzo americano a vincere la paura per inseguire i propri sogni.
Io avevo più che altro una domanda fissa, da ingenuo alpinista da quattro soldi che concepisce il salire una montagna solo come una singola scalata: realizzata, si passa alla successiva. Com’era possibile che qualcuno potesse arrampicare a vista slegato su una via così dura! La risposta la conoscevo bene dentro di me, ma la respingevo perso nel mio alpinismo romantico e forse un poco antiquato. Ad Alex non importa nulla di salire una via tanto per raggiungere la cima aguzza o piatta che sia, per quello non ha nessun problema, gli basta attaccare la parete ed iniziare ad arrampicare. Alex è un ginnasta del vuoto, meticoloso e preciso come un atleta olimpico alla caccia della medaglia più prestigiosa. Ad Alex non basta la semplice arrampicata, Alex vuole salire le pareti per vie sempre più difficili nel modo che più gli piace e che lo fa sentire più libero e leggero, il free-solo. Un gioco perverso sul filo del limite fatto di cura dei dettagli, ripetizioni all’infinito, memorizzazione di ogni singolo movimento, calcolo dei rischi e ovviamente tanto ma tanto allenamento alla ricerca di una propria e personalissima comfort zone fisica e mentale che poi per noi comuni mortali può essere tradotta con arrampicare con ampio margine su gradi pazzeschi e ovviamente slegati!
Non deve quindi stupire quando dice ”l’alpinismo è semplicemente un hobby” e ancora
fare alpinismo una settimana all’anno in Patagonia mi basta per apprezzare ancora di più l’arrampicata nei restanti giorni dell’anno su assolate pareti di ottima roccia circondato dalle ragazze.
Il discorso non ammette repliche anche se il confine tra alpinismo che per Alex sembra essere solo sinonimo di ‘bad rock‘ e arrampicata in free solo sulle immense pareti granitiche di Yosemite sembra piuttosto sottile e forse semplicmente qualcosa di culturale che si perde tra le sfumature delle parole.
E Alex oggi è sicuramente bravo con le parole. Non è più quel timidone che appariva qualche anno fa nei primi video delle sue incredibili imprese, si districa tra le domande con la stessa apparente facilità con cui scala le sue amate fessure.
Honnold ha sicuramente portato l’arrampicata solitaria su un nuovo inimmaginabile livello ma soprattutto Alex è una ‘star’, un personaggio, anche o forse soprattutto fuori da quel piccolo mondo dell’arrampicata fatto di scarpette, magnesite e gradi.
Lui sostiene che il motivo del suo successo trasversale è tutto da individuare in quel singolo attimo molto ‘cool‘ (fico) così precisamente descritto (e fotografato): arrampicatore solitario senza corda sospeso ad inseguire i propri sogni a 500 metri da terra su una parete liscia e interrotta da una sola e perfetta fessura, immerso nella paradisiaca natura incontaminata.
E così a orario di cena nel Palazzetto dello Sport di Barzanò, piccolo paese del lecchese, per la sua serata ”The world at the tips of my fingers”, organizzata da DF-Sport Specialist (serata n° 186) e fortemente voluta dal suo presidente, Sergio Longoni, in collaborazione con La Sportiva, nell’ambito della rassegna ‘A tu per tu con i Grandi dello Sport’, l’accoglienza è da rockstar e si respira l’aria delle grandi occasioni.
La serata è tanto semplice quanto il personaggio, e verte sul racconto di come si prepara un free-solo e in particolare dei passi verso la sua ultima solitaria di Freerider al El Capitain (7c, 1000 m), il tutto condito da un leggero stile hollywoodiano che non guasta, Alex è pur sempre californiano, tra cadute, difficoltà, risalite e un immancabile lieto fine: la realizzazione del suo più grande obbiettivo.
E forse l’inseguire i propri obbiettivi, farsi guidare dai propri sogni, lavorare sodo e realizzarli è quello che resta di più dalle parole di Honnold. E sicuramente Alex ha puntato in alto!!
Federico
Nessun commento